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Per Lena

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    Katrina Moonstone

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    «Ridere non è il sale della vita. La risata è una spolverata di zucchero a velo in un mare di limone: la libertà, quella può essere considerata il sale della vita. Solo che il sapore di sale e limone assieme non piace quasi a nessuno.»


    Quella mattina, per una volta, non stavo scappando dai miei doveri. Mi ero auto-assegnata una ronda a Londra, preoccupata perché dopotutto non ero così sicura del fatto che i babbani ed i mezzosangue fossero totalmente al sicuro come il Ministro voleva far credere … anzi. Erano riusciti ad uccidere i due fratelli Acquarius nel mezzo della strada e non li avevamo ancora presi, quindi cosa potevano fare dei maghi non avvezzi alle lotte o addirittura persone che non possedevano poteri magici? Oh, immaginavo che avessero mandato praticamente il loro miglior killer per fare fuori i due, ma non si poteva mai sapere. Personalmente preferivo prepararmi al peggio e poi ridere della mia prevenzione, così inusuale in una persona come me che fino a poco tempo prima viveva praticamente alla giornata. L’Inghilterra mi faceva male, decisamente, di quel passo rischiavo di diventare una persona seria e affidabile tanto quanto le mie sorelle, il che era da evitare assolutamente: erano Anjie e Flo quelle noiose in famiglia, non certo io! Ergo, sebbene quella gita fosse stata dettata da un inusuale picco della mia coscienza, avrei fatto finta di essere una sciocca ragazzina in passeggiata, che ignorava i suoi doveri e andava a farsi un giro quando l’intero mondo magico – che esagerazione … al massimo una o due persone, Ministro compreso – aveva bisogno della sua presenza costante. Solo che non riuscivo a pensare chiusa in quell’ufficio, che sembrava diventare più piccolo ogni minuto che passava, e quindi non era raro trovarmi a gironzolare nei corridoi del Ministero cercando di chiarirmi le idee, oppure semplicemente notarmi mentre mi infilavo l’inseparabile giubbotto e scivolavo fuori dalla porta principale anche solo per dieci minuti, cercando di raccogliere i pensieri e risolvere quel rompicapo che sembrava privo di senso. Facevo un elenco dei fatti, ciò che era successo e quello che sarebbe potuto accadere in futuro, eppure qualunque strada prendessi mi sembrava sempre di sbattere contro un muro … l’ipotesi dei mangiamorte desiderosi di tornare ai vecchi tempi? Assurda. Non si sarebbero mai azzardati ad attaccare la Capo Auror in persona, erano troppo codardi. Inoltre Voldemort era morto, lo avevano visto tutti, e la sola idea che potesse risorgere atterriva i più, sebbene l’idea di un oscuro signore a controllare il tutto non mi sembrasse poi così assurda. Ma era ancora maledettamente presto per trarre delle conclusioni vere e proprie, senza contare che erano settimane che non mi arrivavano notizie vere e proprie, interessanti ed utili ai fini della nostra ricerca: il Ministro sperava forse che prendessi le informazioni dal nulla, tirando fuori i colpevoli dal cappello?! Bofonchiai una mezza imprecazione in russo, dando un calcio ad un sasso pensierosa, osservando le vecchie hall stars impolverate che avevo ai piedi. Non erano proprio il massimo d’inverno, ed oramai erano mezze consumate per gli anni in cui le avevo utilizzate: con attorno le scarpe lucide degli inglesi, quelle calzature quasi sfiguravano. Ma le avevo utilizzate nella neve, e neppure il vento freddo di Londra mi faceva sentire freddo. Percepivo solo la rabbia, perché nonostante tutto ero impotente quanto i babbani che mi stavano attorno: che cosa potevo mai fare, io? Ero solo un essere umano, fra l’altro del tipo meno affidabile. Non sapevo bene come fossi riuscita ad ottenere la scrivania di Capo Auror – oh, giusto, ora ricordavo: la precedente era morta ed io ero la prima su cui il Ministro aveva deciso di scaricare la responsabilità. Non ero nell’ufficio da neanche un mese e già avevo avuto la promozione … alla faccia della carriera lampo –, ma ero perfettamente sicura di essere stata più folle del solito nell’accettare. Insomma, mi dovevo confrontare con una tizia morta da eroina e maledettamente generosa, gentile ed un sacco di altre cose che io sapevo non appartenermi, cosa diavolo potevo fare? Dalla mia avevo solo una gran cocciutaggine e la ferma intenzione di non fare la figura della stupida, ma per una volta temevo che queste due condizioni non mi avrebbero aiutata a vincere. Forse non mi avrebbero aiutata neppure a sopravvivere.

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    «Prendermi cura di te: questo è il mio lavoro.»
    Ormai conviveva con gli incubi e quelle poche notti che l'incubo sulla morte dei cugini non la tormentava riusciva a riposare e a non sembrare un mostro, Nessie, di sicuro era in condizioni migliori delle sue, quella mattina le occhiaie erano sparite per essere riuscita a riposare tranquillamente, gli occhi erano azzurri, purtroppo il peso non era ancora tornato normale, ma per recuperare quello ci voleva tempo visto che comunque non era una ragazza che mangiava tanto, si era alzata dal letto e si era diretta in bagno per farsi un bagno caldo, per ora sulla morte di Lena e Jason non si sapeva molto, gli Auror stavano indagando, ma si riusciva più a scoprire poco.
    Uscì dalla vasca e si asciugò per poi indossare l'intimo e per poi indossare un paio di jeans, una maglietta senza maniche blu, sopra indossò un golf di una tonalità più scura della maglia, ai piedi un paio di Nike Blazer nere intonate alla borsa.
    Dopo aver fatto colazione uscì di casa, nella borsa avevo messo la bacchetta, il telefono e le chiavi dopo aver chiuso casa.
    Si diresse nella via dove erano stati trovati morti i cugini, non riuscì a fermarsi, non riuscivo a non pensare al dolore della loro perdita, continuai a camminare senza meta finché non notai la nuova Capo-Auror, quella che aveva entrata in carica dopo Lena, la chiamai dicendo:

    "Sig.ina Moonstone?"
    Mi avvicinai, attendendo che la donna si girasse per poter parlare.
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    «Ridere non è il sale della vita. La risata è una spolverata di zucchero a velo in un mare di limone: la libertà, quella può essere considerata il sale della vita. Solo che il sapore di sale e limone assieme non piace quasi a nessuno.»


    Ricordavo alla perfezione il matrimonio di mia sorella, della gioia che le pervadeva gli occhi e si mostrava in ogni suo gesto, dell’amore verso il suo futuro marito … e del fatto che io fossi stata costretta a farle da testimone. Era stata una giornata gioiosa e pacifica, priva dell’incoscienza e del pericolo che mi circondavano di solito, piena solo di quella calma felice che si avverte solo nei momenti di estrema gioia. Personalmente potevo contarli sulle dita di una mano, senza nemmeno riempirla tutta – non perché non fossi stata felice nella mia vita, ma perché era sempre stata la calma a mancarmi –, eppure per un qualche motivo quelle ore di gioia prive di adrenalina mi erano rimaste molto più impresse rispetto alle mie avventure. Forse mi sarei dovuta dedicare ad una vita tranquilla, dopotutto, fatta di calma, pace … si, magari anche con qualche pargolo. Per poco non scoppiai in faccia a Jordan Brett nel pensare quell’assurdità, cercando di immaginarmi con dei figli senza minimamente riuscirci: avevo avuto la mia chance con l’amore, anzi ne avevo avuta più di una, e tutte le volte mi ero voltata ed ero fuggita dall’altra parte del globo, spaventata da quelle emozioni. Quando ne avevo parlato ad Anjie lei aveva sorriso, osservando che allora non era amore vero, perché in quel caso la sola idea di andarsene sarebbe stata a dir poco inconcepibile, almeno a detta sua. A quelle parole avevo alzato le sopracciglia scettica, restando della mia convinzione che facevo bene ad andarmene all’inizio, quando era solo una mera attrazione fisica, senza che la mente avesse alcuna parte nella mia decisione. Perché come si faceva ad ignorare una mente, un carattere? Non si poteva, molto semplicemente. Sarei rimasta intrappolata in quelle spire, eternamente legata ai desideri di qualcun altro, e non avevo intenzione di permetterlo … la mia libertà era di quanto più prezioso avevo, ciò che desideravo con tutta me stessa, e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo. Tantomeno per un bel faccino. Sorrisi appena per i miei stessi pensieri, prima che una voce li interrompesse: una volta che mi fui voltata, notai una giovane – non doveva avere neanche venticinque anni … forse era sui ventidue, ventitré inverni, all’incirca – che mi si era avvicinata. Mi ricordava qualcuno, e per alcuni istanti la guardai con le sopracciglia aggrottate per qualche istante, cercando di collegare volto e nome … poi ricordai. Si chiamava Alexis ed era la cugina di Lena e Jason, le avevo fatto personalmente le condoglianze quando eravamo venuti a sapere della sua esistenza: decisamente, non ricordarmela non era una bella cosa. Pertanto le sorrisi, ravvivandomi i capelli e sentendomi già stanca solo a quell’ora del pomeriggio, sperando che non fosse l’ennesima persona venuta a chiedermi a che punto fossimo con le indagini, perché probabilmente le avrei urlato dietro, e se c’era qualcuno che meritava delle risposte quella era lei.

    “Esattamente. Lei è la signorina Acquarius, giusto? Si sente meglio?”

    L’ultima volta che l’avevo vista era in lacrime, e sebbene in quel momento mi sembrasse perlomeno calma potevo scommettere che ci stesse ancora male. Non che sapessi cosa si provava – a casa, in Russia, la morte era una cosa naturale e trattata con veramente poco riguardo. Le lacrime ed il dolore erano concessi solo in caso di parenti molto, molto stretti –, ma potevo immaginare cosa si provasse a perdere una persona cara … e lei e Lena sembravano molto unite, da quello che avevo capito.

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    «Prendermi cura di te: questo è il mio lavoro.»
    Avevo visto la Sig.ina Moonstone ai funerali di Lena e Jason, mi aveva fatto le condoglianze, mi aveva riconosciuto forse? Forse si visto che mi sorrise e notai che si ravvivò i capelli, sembrava stanca, beh cercare prove per l'uccisione dei miei cugini non era semplice, visto che era stato fatto un uccissone perfetta, in un luogo affollato, nessuno aveva visto niente, quindi ogni volta era un buco nel acqua, chi aveva ucciso Lena e Jason sapeva il fatto suo.
    La giovane Capo-Auror confermò la mia supposizione si era lei, mi chiese se ero la Sig.ina Acquarius e se mi sentivo meglio, risposi:

    "Si, sono io, ma se preferisce può chiamarmi Alexis. Si sto meglio, anche se preferirei tornare indietro nel tempo ed evitare la loro uccisione!"
    Avrei preferito mille volte tornare indietro nel tempo e cambiare il corso degli eventi, magari avrebbe preferito trovarsi lei ora al posto loro.
    Erano molto legati, soprattutto con Lena, era la sorella minore che non avevo mai avuto. Era stato troppo perderli insieme, Lena si era sacrificata per Jason, ma poi avevano ucciso anche lui, non osava pensare cosa aveva provato Jason nel vedere Lena morta lì vicino a lui.
    Una cosa era certa Lena era come lei, prima gli altri e poi lei, l'aveva dimostrato lei aveva fegato era riuscita a diventare Capo-Auror a soli 23 anni e aveva fatto un egregio lavoro finchè forse qualche Mangiamorte non l'aveva uccisa.
    Come erano morti Lena e Jason, qualche seguace ancora a piede libero o si preannunciavano nuovi guai per il mondo magico?

    brett,©


    Edited by Lena Acquarius - 19/1/2015, 20:01
     
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    «Ridere non è il sale della vita. La risata è una spolverata di zucchero a velo in un mare di limone: la libertà, quella può essere considerata il sale della vita. Solo che il sapore di sale e limone assieme non piace quasi a nessuno.»


    Non era proprio carino da parte mia dimenticarmi di qualcuno a cui avevo fatto le condoglianze solo pochi mesi prima, che avevo visto al funerale del mio Ex Capo e di suo fratello – peraltro cugini del sopracitato qualcuno – e che se non altro aveva fornito indicazioni più precise sugli orari extra lavorativi delle vittime. Vittime … no, non avrei mai pensato che Lena sarebbe diventata solo un cadavere a terra, priva della forza che la caratterizzava in vita, quel piglio capace di intimorire anche Auror molto più vecchi e navigati di lei solo un uno sguardo. Mi era sembrata incredibilmente piccola, da morta, e avevo percepito l’oramai usuale senso di impotenza che caratterizzava metà delle mie azioni. Oh, avevo visto centinaia di morti nella mia vita, ne avevo provocate parecchie e probabilmente avrei strappato la vita ad almeno altrettante senza pensarci troppo, eppure poche mi avevano colpito come la prematura dipartita dei due fratelli Acquarius. Non per motivi nobili quali il fatto che erano troppo giovani – e lo erano, accidenti a loro, lo erano sul serio –, oppure che ero convinta che Lena fosse praticamente immortale … no, il mio primo pensiero era stato che nessuno dovrebbe morire così, in maniera tanto sciocca, né tantomeno avere un’espressione così sorpresa per la propria morte. Era semplicemente ingiusto da parte mia avere certi pensieri, concentrarmi sull’espressione di qualcuno, eppure il volto dei due fratelli appariva a metà fra lo spaventato ed il sorpreso, quasi nessuno dei due riuscisse a credere all’evidenza dei fatti. Ripensando a quello che era successo poi, avevo desiderato prenderli a calci, quei due cadaveri, tanto per assicurarmi che non ci fosse più nessuno dentro a sghignazzare pensando a tutti i danni che avevano procurato con la loro morte. Invece al loro funerale avevo fatto la faccia contrita e pronunciato belle parole, sebbene anche dopo tutti quegli anni non riuscissi a trovarne davanti alla nera signora, pensando che il loro assassino avrebbe pagato cara ogni lacrima sul viso dei familiari e fino alla più inutile scartoffia sulla mia scrivania. L’idea di veder implorare per la propria fine quello sconosciuto senza volto mi faceva sorridere, ma sfortunatamente non aiutava gran che ai fini della ricerca.

    “Lei mi chiami pure Katrina, la prego. In tutta sincerità, se trova un modo per tornare indietro nel tempo mi avverta: voglio prendere a calci quel bastardo e salvare i suoi cugini”

    Per un momento mi chiesi come mai nessuno avesse pensato di usare una gira tempo subito dopo l’accaduto, poi mi ricordai che quando l’avevo proposto mi avevano guardato tutti scandalizzati ricordandomi che erano passate quasi dieci ore dal decesso. A quanto pareva, tornare indietro per più di cinque ore era proibito e pericoloso … ma li per li erano stati tutti troppo occupati ad urlare e ad essere addolorati per Lena e Jason per pensare ad un modo per rimediare. O anche solo per mandarmi un patronus: avevo saputo tutto quando il danno era già fatto e i cadaveri venivano esaminati da qualche medimago. Una cosa veramente disgustosa, lasciatemelo dire.

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    «Prendermi cura di te: questo è il mio lavoro.»
    Katrina mi chiese di chiamarla col suo nome, disse che se trovavo un modo di tornare indietro nel tempo di avvertirla che voleva prendere a calci quel bastardo e salvare Lena e Jason, sorrisi tristemente e dissi:
    "Va bene Katrina, avevo pensato ad un giratempo, ma era troppo tardi dalle 5 ore in poi è troppo pericoloso e proibito!"
    Alzai lo sguardo verso il cielo, nero come la pece, coperto da nuvole che nascondevano il chiarore della luna. Tornai con lo sguardo su Katrina e dissi:
    "Non è l'unica che lo vorrebbe prendere a calci, anche se dopo aver confessato non mi dispiacerebbe fargli provare un esperienza con un dissennatore, magari un bacio! Non mi dispiacerebbe farglielo provare."
    Potevo sembrare stronza e senza cuore, ma non ero così, ero tranquilla e mi piaceva aiutare gli altri, cercavo di dare consigli, ma se si toccava le persone che amavo diventavo stronza pari ad una Serpeverde, in quel caso lo ero diventata contro chi aveva ucciso Lena e Jason, mi scusai con Katrina dicendo:
    "Mi scusi per quello che ho detto, ma è quello che penso e che vorrei fargli subire se lo trovassi o se lo trovaste, non sopporterei che la passasse liscia!"
    Non poteva sopportare che chi era l'uccisore dei cugini girovagasse a piede libero per Londra o per qualsiasi altro luogo, non ci riusciva, voleva giustizia, non solo per lei, ma anche per gli Zii che avevano perso due figli in una volta sola. Per i genitori che avevano sofferto per la perdita di due nipoti, nella nostra famiglia tutti si volevano bene, tutti erano uniti uno all'altro, erano una grande famiglia allargata.
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    «Ridere non è il sale della vita. La risata è una spolverata di zucchero a velo in un mare di limone: la libertà, quella può essere considerata il sale della vita. Solo che il sapore di sale e limone assieme non piace quasi a nessuno.»


    La cosa che ricordavo di più di mia sorella maggiore? Beh, probabilmente i capelli. A distanza di anni, in effetti, quella chioma color fuoco era pressoché l’unica cosa che rammentavo di lei … spiccava incredibilmente bene sulla neve e sulla camicetta candida che indossava la sera in cui era salita su un aereo privato diretto da qualche parte in Alaska per degli assurdi esperimenti con la NASA ed io, a sedici anni appena compiuti, avevo stretto la mano di Anjie e pensato che quell’estate stava peggiorando sempre più rapidamente, fra la partenza della mia geniale sorella maggiore … Merlino, mi faceva strano pensare che in quel momento appariva più giovane di me, nonostante i due anni più, congelata per sempre ai suoi diciotto. Mi ritrovai a corrugare la fronte, rendendomi conto che Flo avrebbe avuto per sempre i capelli rossi e la pelle liscia e perfetta degli immortali, che anche quando io avessi avuto cinquant’anni o addirittura ottanta – non prevedevo di vivere così tanto, ma amen – lei sarebbe sempre rimasta immutata, immobile nei secoli a venire. Chissà, magari a mille anni da quel momento si sarebbe guardata indietro e avrebbe ricordato di sfuggita i nostri volti, rendendosi conto che eravamo solo polvere già da centinaia di anni. L’idea, chissà per quale assurda ragione, non poteva non inquietarmi un pochino. Perché anche Lena e Jason Acquarius avrebbero avuto per sempre i capelli scuri e gli occhi brillanti, e mai la loro pelle si sarebbe coperta di rughe … eppure non si sarebbero potuti guardare indietro, pensando a qualcuno. La morte, mi resi conto, aveva il potere di cristallizzare le persone si, ma a quanto pareva i vampiri avevano trovato una scorciatoia per continuare ad esistere, in qualche modo. Sorrisi appena alle parole di Alexis, annuendo lievemente. Io ero stata avvertita dopo le cinque ore, ma in qualunque caso credevo che non avrei utilizzato una gira tempo: erano oggetti pericolosi … e poi, diciamocelo, avevo già fatto abbastanza danni con quegli affari. Tanto per dirne una, ero stata buttata fuori dal Kazakistan, anche se non avevo ben capito perché.

    “Sii più fantasiosa … perché fargli dare un bacio da un dissennatore? Gli farei passare un po’ di tempo ad Azkaban, piuttosto … ad esempio tutta la vita. Oppure potrei decidere che mi sono stufata di fare la brava persona e tornare a fare la delinquente. I buoni tendono ad annoiare dopo un po’”

    Osservai con un sorrisetto, prima di tossicchiare appena e guardarmi intorno. Io ero la Capo Auror, non dovevo dire certe cose, potevo pensarle e basta, e dopotutto non conoscevo Alexis.

    “Dopo averlo consegnato alla giustizia, ovvio. Non lo torturerei mai di mia iniziativa”

    Aggiunsi, passandomi una mano fra i capelli e sorridendo imbarazzata, l’aria di un bambino colto con le mani nella marmellata: dispiaciuto, questo si, ma solo per essere stato beccato troppo presto. Non ero mai stata una persona particolarmente incline al rimorso, solitamente pensavo ogni mia singola parola, o perlomeno dicevo la verità … in parte, ma la dicevo. Era quello il trucco per raccontare balle convincenti.

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    «Prendermi cura di te: questo è il mio lavoro.»
    Katrina disse che dovevo essere più fantasiosa, disse perchè dovevo fargli dare un bacio da un dissenatore, no non bastava renderlo privo di volontà, ma tutta una vita ad Azkaban poteva essere accettattabile, oppure poteva decidere che si era stufata di fare la brava persona e fare ancora la delinquente e che i buoni tendevano ad annoiare dopo un po'.
    Rimasi sbalordita a quello che disse Katrina, anche se dopo sorrisi, poteva fare quello che voleva, non le importava cosa faceva era la sua vita e lei la gestiva come voleva, disse che lo avrebbe torturato dopo averlo consegnato alla giustizia che non lo avrebbe mai fatto di sua iniziativa.
    Sorrisi, ripensando ai miei cugini avevo mille ricordi, da quando giocavamo insieme, dalle gare di corsa e di chi mangiava più veloce, all'arrivo ad Hogwarts e ogniuno di noi era sempre contro un altro per prendere il voto più alto dell'altro.
    Nella sua famiglia erano stati quasi tutti Auror o Capo Auror, solo lei e Jason avevano scelto la via dell'Infermiere e Dylan per ora giocava a quidditch molto probabilmente dopo sarebbe diventato un Auror anche lui, conoscendo le sue capacità nel duello sarebbe stato un ottimo Auror.
    Per lei il lavoro da Auror era troppo, non era come Lena, non era determinata come lei, non avrebbe saputo tener testa come era riuscita lei a soli 21 anni tutti gli Auror più grandi di lei.
    alzò lo sguardo verso il cielo, chissà cosa combinavano Lena e Jason da la sopra, magari ridevano e scherzavano insieme come avevano sempre fatto e ci proteggevano, poi dissi:

    "Direi che non c'è niente di male nel vendicarsi!"
    Sapeva che nelle ricerche non erano andati molto avanti, era come cercare un ago in un pagliaio e dissi:
    "Se le serve una mano per scoprire altro sulla morte di Lena e Jason non esitare a chiedere!"
    Non sapeva che altro dire così rimase zitta.
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    Quanta gente avevo ucciso nella mia vita? Non mi ero mai soffermata a pensarci e, in tutta sincerità, non m’importava poi troppo. Alle persone piaceva pensare che si sarebbero fatti qualche scrupolo nell’uccidere, se si fosse mai presentata l’occasione e/o la necessità, ma in realtà vi confesso una cosa … l’unico omicidio problematico è il primo. Ci ripensi per anni, rivedi i volti di coloro che hai ammazzato e pian piano questi si fondono in uno solo, che ti guarda con gli stessi occhi continuamente, quasi ad accusarti … poi si rende conto che a te non importa, quindi sparisce. Immagino che le paure abbiano potere su di te solo fino a che non diventano qualcosa di più simile all’abitudine, fino al momento in cui non diventano una rutine, un po’ come prendere il caffè la mattina: all’inizio il lascito amaro non ti piaceva troppo, ma lentamente inizi a trovarlo quasi piacevole. La gente, se costretta, può abituarsi ad un sacco di cose lo sapevo bene. Si conviveva con tutto: paura, fame, freddo … perfino il dolore alla fine diventa un compagno fidato, come un rumore sgradito a cui si finisce per abituarsi. È sempre li, martellante e monotono, e dopo un po’ trovi quasi confortante la sua presenza. Immaginavo che anche Alexis Acquarius alla fine si sarebbe fatta una ragione riguardo alla morte dei cugini e avrebbe deciso che smetterla di vivere nei ricordi era molto più sensato. Inoltre non dava la stessa, orribile sensazione di mancanza ed impotenza che accompagnava di solito la perdita di qualcuno molto amato. Annuii appena alle sue parole, prima di lanciare un’occhiata all’orologio e decidere che era ora di andare.
    “Se mi servirà qualcosa le manderò un gufo, la ringrazio. Oh, mi faccia un favore … niente idiozie, né iniziative personali. Se ha qualche sospetto mi chiami: senza offesa, ma chiunque abbia ucciso i suoi cugini è capacissimo di fare fuori anche lei” le sorrisi appena, facendole un cenno di saluto e dileguandomi di quelle allegre parole. “Comunque buona giornata” aggiunsi, forse con un pizzico di ironia davvero fuori luogo.

    brett,©
     
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